In CPM crediamo nella possibilità di poter ispirare, essere influenti e avere l’autorevolezza per avere un impatto positivo sulle persone. Le aziende, come le Università, hanno infatti la responsabilità di aiutare i giovani a conoscere, sviluppare e sfruttare il proprio potenziale. Siamo convinti che investire nella crescita e nelle competenze dei giovani sia una delle chiavi per poter sostenere lo sviluppo di un’organizzazione, ma anche del sistema-paese. Ma è un impegno che richiede passione, dedizione, energia e positività: ne parliamo con i professori Silvia Biraghi e Marco De Angeli del corso di Omnichannel Management della laurea in Innovation and Technology Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
1) Oggi più che mai i giovani hanno la possibilità di approfondire le tematiche di loro interesse tramite diversi canali, ma anche grazie a opinionisti ed influencer. In un mondo così ricco di contenuti, come si riesce ad essere rilevanti e influenti a un corso come quello dedicato all’Omnicanalità?
Recentemente in un’intervista per un progetto di ricerca, un imprenditore ci ha detto, citando Brunori SAS, che oggi tutti sono convinti che basti un tutorial per costruire un'astronave. Più che mai oggi infatti, qualsiasi tipo di informazione e di contenuto può essere intercettato con estrema semplicità sulle piattaforme e il rischio è quello di trovarsi immersi in una tempesta di sollecitazioni, di cui non si riesce a valutare l’autorevolezza, che alle volte nemmeno possiedono. Lo scopo di un insegnamento universitario è quello invece di offrire una direzione in questo caos, facendo affidamento su fonti che siano solide e di reputazione. Un corso di Omnichannel management richiede di viaggiare velocemente tra le fonti per stare al passo con le innovazioni che vengono introdotte di continuo in questo campo, senza però farsi fagocitare dal desiderio di parlare di novità inconsistenti. Per farlo occorre maturare una capacità critica di selezione e di interpretazione del contesto contemporaneo. In generale focalizzare l’apprendimento sull’orientamento critico e sulle competenze di processo ci aiuta a trascendere la pressione della rincorsa al nuovo e ci permette di costruire insieme agli studenti un metodo, che poi possono usare non soltanto per sviluppare processi di omnichannel management, ma anche in qualsiasi altra area di attività legata al branding e alla comunicazione.
2) Ispirare i futuri talenti è forse uno dei compiti più difficili, sia per i docenti, sia per i datori di lavoro. Qual è secondo voi la strada per coinvolgerli su temi cruciali per un brand come quello dell’incremento delle vendite?
Il contatto diretto con il mondo professionale è la chiave per sensibilizzare gli studenti e coinvolgere le energie e l’intelletto dei talenti verso le problematiche che il business deve risolvere, come quella dell’incremento delle vendite. La collaborazione con Samsung e CPM che ha coinvolto la classe di Omnichannel management è chiaramente un esempio di un progetto concreto e pratico, in cui gli studenti assumono la responsabilità della gestione di un obiettivo commerciale, immedesimandosi in una figura manageriale ed essendo poi valutati come attori professionisti, anziché come studenti, sulla base della loro capacità di analisi, elaborazione e presentazione di una soluzione creativa di business.
3) I giovani hanno subito forse più altri un impatto psicologico dovuto alla pandemia, cambiando il loro modo di interagire con i loro pari, ma anche e soprattutto con il mondo che li circonda. Secondo il vostro punto di vista di docenti ed esperti del settore, come possono i retailer brand attrarre nuovi talenti?
I giovani sono da sempre molto attratti dalla sperimentazione e dalla possibilità di entrare in contatto con i contesti che gli consentano di vivere questa sperimentazione. I retailer brand sono per tradizione capaci di ideare contesti molto versatili, in cui diverse tecnologie oggi si stanno incontrando per creare ambientazioni ed esperienze di marca coinvolgenti ed immersive. In questo senso i mondi costruiti attraverso la brand experience posso rappresentare un contesto di fuga dall’isolamento e dalla clausura della pandemia. Lo abbiamo vissuto durante i lock-down: molti attori hanno sperimentato nuovi sistemi di offerta online, pensiamo a Zoom che è diventato una destinazione di gastroturismo per molti, pensiamo al metaverso che si sta costellando di opportunità legate al mondo del lusso, all’accesso al collezionismo anche di beni pop come sneakers o alle dinamiche di livestreaming e social selling che hanno rilanciato un modello antico come quello delle televendite.
Silvia Biraghi e Marco De Angeli, docenti del corso di Omnichannel Management della laurea in Innovation and Technology Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
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